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Cthulhu e di altre antiche divinità, mi è bastato citargli qualche frase del
Necronomicon...»
Capii che mi stava prendendo in giro.
«Il Necronomicon?» chiesi. «Ma non è il libro immaginario inventato da
H.P. Lovecraft?»
«Sì, ma il fatto è che Matthew Hay non lo sa. Le sue conoscenze sulla
stregoneria sono molto più limitate di quello che crede.» Colin ridacchiò di
nuovo. «Pensa che ha accettato me come Grande Adepto.»
Be', magari lo sei davvero. Sapevo che non dovevo allearmi con Colin
contro Matthew, ma non mi avrebbe nuociuto se Matt avesse fatto una fi-
guraccia davanti alla sua congrega delusa, «Allora verrà al Sabba?»
«Non me lo perderei per niente al mondo.»
Qualcosa mi indusse ad avvertirlo: «Non sottovaluti Matthew Hay, dot-
tor MacLaren». Poi mi venne in mente che l'avevo sempre chiamato Colin.
I tratti del viso gli si indurirono, ma pensai di essermelo immaginato.
«Credimi, Sally. Non lo sottovaluto», mi rassicurò con voce cupa.
Quando se ne andò mi venne da pensare che forse era davvero un Grande
Adepto ed era il caso di avvertire Matthew. Ma non lo feci.
Un impulso interiore mi riportò al cavalletto, dove preparai la tela e co-
minciai un dipinto, senza sapere cos'avrebbe rappresentato. Dopo un po'
mi accorsi che si trattava del paesaggio indistinto del cimitero, popolato di
forme soprannaturali dominate dall'enorme figura oscura della Creatura
con le corna. Il mio lavoro si era arricchito di una nuova forza creativa, e
non riuscii a impedirmi di mostrarlo a Brian al suo arrivo.
«Ti sei messa a dipingere i tuoi incubi, adesso, Sara?»
«Non ti piace?»
«Non ho detto questo. Emana una strana energia. Forse sei un'artista mi-
gliore di quello che sospettavo, ma questo quadro mi sembra... malsano. È
un lato di te che non conoscevo.»
Non faccio fatica a crederlo. Replicai: «Dipingo quello che c'è da dipin-
gere».
«E del resto, tu non mi dai lezioni su come fare il medico. Lo trovo mol-
to bello, in ogni caso, e può darsi che costituisca una buona terapia. La ca-
sa ti rende ancora tanto nervosa?»
Lo fissai senza capire. Di cosa stava parlando? Com'era possibile che la
dimora della mia famiglia mi mettesse a disagio? «Credo di non capire co-
sa vuoi dire.»
«Purché continui così», sentenziò prima di baciarmi e di andarsene. Era
stato molto occupato negli ultimi giorni per via di un'epidemia di influen-
za, quindi l'avevo visto poco. Del resto, per il momento ero felice di restare
da sola con Zenzero. Avevo tutta la compagnia che mi serviva.
La tranquillità di quel periodo non poteva durare. La luna stava calando,
e mancava ormai poco al Grande Sabba di Lammastide, il primo di agosto.
Vidi Matthew che andava e veniva da casa di Tabitha, ma fu abbastanza
intelligente da lasciarmi stare. Per il momento, Tabitha gli bastava. Ma i
giorni di riposo erano quasi terminati e, come accade sempre ai periodi di
pace, giunsero alla fine.
Un mattino mi recai a Madison Corners per acquistare generi alimentari
e cibo per gatti. Evidentemente, prima che la giovane Sara capisse il suo
errore, aveva viziato Zenzero dandogli cibo in scatola, e di conseguenza
non si dava più da fare come prima con i topi: avevo udito degli scalpiccii
in casa e visto tracce di topi nella dispensa. Aggiunsi delle trappole alla li-
sta mentre camminavo; prima o poi avrei dovuto fare una bella chiacchie-
rata col gatto perché riprendesse il suo lavoro, ma in quel momento avevo
preoccupazioni più importanti.
Sapevo, naturalmente, che Matthew e io, e più tardi Tabitha, eravamo
diventati la mente e i capi della congrega, le sue guide spirituali, gli unici
profondamente interessati alla mistica e alla religione. Gli altri, i seguaci,
speravano superstiziosamente di ingraziarsi le forze della natura o parteci-
pavano ai riti solo perché era l'evento sociale più importante del posto. A-
vrebbero potuto allo stesso modo cantare a squarciagola gli inni ispirati al
Vangelo o recitare preghiere rispettose nella chiesa presbiteriana, ma mi
andava benissimo che prediligessero il nostro altare. Ci facevano comodo
il loro aiuto, la fede e l'attaccamento a quel culto, che costituivano per noi
fonte inesauribile di energia.
Ricambiavamo generosamente, del resto, i servizi che ci offrivano. Di-
stribuivamo aiuto e consigli, come avevo fatto con la moglie distrutta di
Obed Tate. E all'Esbat... sorrisi pensando che molti degli uomini venivano
perché attratti dal sesso e dalle orge, senza rendersi conto che l'orgia appa-
rente era in realtà un modo per entrare in possesso di energia cosmica.
Grazie alla passione di due corpi eccitati, i partecipanti al sesso rituale at-
tingevano a una corrente inarrestabile di forza.
Non gliene importava niente: si divertivano e basta. Io, però, lo sapevo
bene, e usavo l'energia che ne risultava.
In realtà la congrega era il vero fulcro della comunità, il centro della sua
vita, della vita che restava a quella nicchia di decadenza che il resto del
mondo, i servizi sociali e le altre istituzioni avevano dimenticato. Sapevo
che la metà delle persone che incontravo nello spaccio - la metà più dina-
mica - erano fratelli e sorelle del Rito Antico. Gli altri non contavano.
Mentre ordinavo la spesa, mi dissi che Brian doveva essere reclutato o
persuaso ad andarsene. (Forse, se lo abbandonavo sarebbe tornato a Bo-
ston.) Se fosse rimasto, infatti, avrebbe costituito per la gente del posto un
motivo di distrazione, con tutti i suoi discorsi sul progresso e l'educazione,
minacciando così lo scopo e l'esistenza stessa del Rito Antico. Avrebbe
portato il Presente nella comunità, mentre a noi andava benissimo vivere
nel Passato.
Brian doveva diventare uno di noi o partire. L'unica alternativa era trop-
po terribile da prendere in considerazione.
A quel punto udii una voce infantile acuta dietro di me.
«Mamma, è quella la donna che chiami strega? Non sembra una strega,
assomiglia all'amica del dottore.»
Mi voltai lentamente per vedere chi aveva parlato. Annie Fairfield, con [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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